L’infanzia, i libri silenti e il ruolo dell’immagine

libri silenti

Riflessioni di Alessandra Serra (Equipe Formativa Territoriale Emilia-Romagna/Servizio Marconi TSI) 

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Alessandra Serra – L’infanzia, i “libri silenti” e il ruolo dell’immagine


La nostra contemporaneità, ormai indissolubilmente legata alla tecnologia, ci induce a ricavare informazioni e dati da immagini piuttosto che da testi scritti, e i bambini, in quanto individui a pieno titolo inseriti nella società, non sono esenti da questa continua sollecitazione visiva. Oggi più che mai, allora, è necessario chiedersi: qual è il ruolo delle immagini nella crescita cognitiva del bambino? Quali sono le modalità con cui questi deve approcciarsi agli stimoli visivi? In che condizioni l’immagine può essere utile alla formazione o, al contrario, essere nociva? Da quali fonti devono provenire le immagini per poter essere fruite correttamente dal bambino in età prescolare?

Innanzitutto, dobbiamo comprendere che l’immagine, per il bambino, non è importante: è fondamentale. È evidente che il primo approccio del bambino nei confronti del mondo esterno è tutto visivo: prima impara a riconoscere, a distinguere, ad etichettare visivamente gli oggetti circostanti e solo in seguito dà loro una esplicita denominazione. Questo dato non è mai stato ignorato, in quanto emerge anche da semplici considerazioni empiriche. Nell’educazione infantile, quindi, è sempre stato presente il mezzo visivo: il libro illustrato è, per eccellenza, il libro dei bambini e per i bambini. In questa vasta categoria, poi, è presente un sottoinsieme, quello dei silent books, i cosiddetti ‘libri silenti’. Essi sono dei particolari albi illustrati, privi di testo, che spesso (ed erroneamente) vengono messi in secondo piano rispetto a libri che, al contrario, includono una componente scritta. I libri senza parole, invece, sono paradossalmente in grado di stimolare l’apprendimento linguistico e, in generale, lo sviluppo delle funzioni cognitive, più di quanto possa fare un libro costituito da solo testo, letto oppure ascoltato. Perché?

In primo luogo, perché sono libri. Il libro, considerato nel suo aspetto materiale, è un oggetto attraverso cui il bambino inizia a rapportarsi con il mondo, un mezzo tramite cui acquisire indipendenza. Infatti, l’atto fisico di girare le pagine richiede consapevolezza motoria e, al contempo, garantisce al bambino il controllo della situazione, perché, quando sfoglia un volume (da solo, oppure con un adulto che glielo legge o glielo spiega), è proprio lui a poter decidere, in base ad emozioni e percezioni, su quali pagine soffermarsi. È chiaro che, in età prescolare, per poter catturare l’attenzione di un bambino, le pagine devono contenere immagini. Questo non deve indurci a pensare che decodificare un’illustrazione sia più semplice dell’interpretazione di un testo verbale: ce lo dimostra lo studioso Perry Nodelman. Servendosi di un’illustrazione tratta da un celebre picture book per l’infanzia, egli constata quanto numerose siano le convenzioni che stanno alla base della decriptazione dell’immagine: per riuscire ad interpretare un’immagine raffigurante, ad esempio, un uomo, il bambino deve capire che, appunto, quello che vede non è un uomo, ma rappresenta un uomo. Lo scarto tra realtà e imitazione di essa presuppone un processo cognitivo complesso, che il bambino elabora tanto meglio quanto maggiore è la quantità di immagini diverse che ha a disposizione e che può analizzare. Ovviamente, per essere eseguita con successo, questa operazione mentale ha bisogno di tempo e sostegno. Ecco perché dobbiamo (lungi dal condannarla!) considerare criticamente la tecnologia. Il rapporto tra bambini, immagini e dispositivi è stato l’oggetto di studio della psicologa Ellen Handler Spitz, che si è interrogata sui possibili effetti di una sovraesposizione alle immagini in età infantile. La sua tesi è che i bambini, ricevendo passivamente una grande quantità di immagini che si susseguono vorticosamente, non abbiano il tempo e gli strumenti per elaborare le informazioni che vengono loro somministrate, ma anche che, in questo sconfinato deposito di immagini che è la nostra epoca, ci sia tanto materiale che può essere utilizzato in maniera costruttiva. La condizione necessaria è sempre la stessa: il tempo. Questo è uno dei pregi del silent book: al suo interno le immagini sono immobili e si prestano, dunque, a costituire la base ideale per la decodificazione anche di immagini in movimento, più complesse. Imparare a leggere un’immagine è esattamente come imparare a leggere un testo scritto: conoscendo l’alfabeto, possiamo comprendere parole e frasi, fino ad arrivare ad opere letterarie molto impegnative. Ma questo alfabeto deve essere noto e il miglior maestro, nel nostro caso, è il picture book.

Trovo molto calzante quello che afferma Maurice Sendak, scrittore e illustratore statunitense, a proposito del picture book. Secondo lui un picture book non è  un libro facile, pieno di immagini, come i più sembrano pensare. E’ molto  difficile da realizzare, è una forma poetica complessa che necessita di sintesi e controllo continui. La sua apparente semplicità, l’incredibile leggerezza che nasconde l’imbastitura, è frutto del costante dominio della situazione: come in un abito di buona fattura, un solo punto che salta all’occhio rovina tutto. Nel mondo dell’illustrazione non c’è, niente di più intrigante. Ed è proprio così: l’immagine richiede tutta la nostra attenzione e rappresenta un grande stimolo, una grande sfida per il bambino. Per questo, il nostro compito è quello di sottoporgli illustrazioni che siano, certo, alla sua portata, ma anche capaci di suscitare un pensiero critico e una riflessione articolata: in questo modo, l’immagine assolve il proprio compito di stimolatrice del linguaggio e della memoria. Infatti, come dimostra Marco Dallari, direttore del Laboratorio di Comunicazione e Narratività dell’Università di Trento, i libri silenti non sono per bambini pigri o non adeguatamente stimolati, ma, al contrario, coinvolgono numerose aree cerebrali e facoltà cognitive: quando il bambino osserva, silenzioso, le immagini, in realtà sta elaborando una serie di pensieri complessi e i vocaboli più diversi. L’illustrazione, dunque, se di qualità, non sostituisce la parola, ma le è, anzi, di supporto. Il bambino che, tra i tre ed i sei anni (ma non solo: questa non è un’attività ad esclusivo appannaggio infantile!), si dedica alla decodificazione di ‘immagini immobili’, diventa un lettore attivo e critico, in grado di plasmare il proprio mondo e di sviluppare una profondità interpersonale (che, invece, resta estranea al bambino che si limita a ricevere immagini da uno schermo); è incentivato a fare previsioni e a riflettere sulle fasi precedenti della storia che, con la complicità del picture book, sta creando; riesce a valutare il punto di vista soggettivo dell’illustratore; costruisce, storia dopo storia, un proprio repertorio di stilemi che lo aiuteranno ad affrontare ogni nuova lettura. La partecipazione mentale del lettore, poi, è supportata da un’attività anche fisica: di fronte ad un “libro silente”, infatti, il bambino non resta in silenzio, perché è spinto dalla necessità di produrre suoni, condividere le proprie emozioni, raccontare ciò che vede e ricordarlo per raccontarlo ancora, e prova il desiderio di seguire con il dito i contorni delle figure con cui si relaziona; ecco perché è così importante il rapporto con un libro che sia dotato di una propria materialità. La realtà del libro aiuta a dare consistenza ai nostri pensieri e, di conseguenza, anche alla nostra personalità: un bambino che legge è un bambino che sa pensare da solo e che, un domani, sarà un adulto consapevole. E questa consapevolezza non si limita alla sfera cognitiva, ma coinvolge anche quella dell’affettività e delle relazioni interpersonali ed intrapersonali: i “libri silenti” sono anche un ponte tra culture e lingue diverse, esaltano la libertà di opinione (non ci sono storie “giuste” e storie “sbagliate”) e non richiedono capacità di lettura. 

I cosiddetti “libri silenti”, quindi, ci parlano di un percorso di crescita importante, necessario per poter affrontare la complessa realtà e tecno-realtà del nostro presente: tutt’altro che muti!

Bibliografia

Burningham, J. (1970), Mr. Gumpy’s Outing, New York, Holt, Rinehart and Winston.
Dallari, M. (2011), “Quando le parole si stringono alle immagini. Scritture polialfabetiche e nuove prospettive di apprendimento e di interpretazione”, Encyclopaideia: rivista di fenomenologia, pedagogia, formazione, 30, pp. 11-40.
Dallari, M. (2012), Testi in testa, parole e immagini per educare conoscenze e competenze narrative, Trento, Erickson, 2012.
Dallari, M. (2013), “Un congegno metacognitivo chiamato testo”, Encyclopaideia: rivista di fenomenologia, pedagogia, formazione, 32, pp. 11-37.
Dallari, M., e Campagnaro, M. (2013), Incanto e racconto nel labirinto delle figure. Albi illustrati e relazione educativa, Trento Erickson 2013
Nodelman, P. (1999), “Decoding the Images: Illustration and Picture Books”, in P. Hunt (a cura di), Understanding Children’s Literature. Key Essays from the International Companion Encyclopaedia of Children’s Literature, London, Routledge, p. 69-80.
Sendak, M. (1988), Caldecott & Co.: Notes on Books and Pictures, New York: Michael di Capua Books / Farrar, Straus and Giroux.
Spitz, E.H. (2001), Libri con le figure, Milano, Mondadori.


[traccia del webinar di formazione per docenti di scuola dell’infanzia proposto il 30 gennaio 2021]